Passo del Vivione e Campelli
Nonostante il caldo afoso di questo sabato 1 agosto, decido di partire di buon ora, direzione Alta Valle Camonica, per affrontare il passo del Vivione dal suo versante più duro, quello da Forno Allione: curioso che, con la temperatura che durante la giornata supererà i 35 gradi, il giro parta da una località chiamata Forno...
Comunque, parcheggiata la macchina ai piedi della salita (e questo si rivelerà un tremendo errore), alle 8,30 sono già in sella e imbocco la strada statale della Val di Scalve. Il cartello che indica 20 km al passo non è il massimo dell'incoraggiamento ma, come sempre, la calma dei giusti è la mia fedele compagna di viaggio; l'unica oggi, perchè Manuele ha dovuto dare forfait. La carreggiata, in questo primo tratto, è ampia e le pendenze sono l'ideale per scaldare la gamba. Dopo circa 7 km si arriva al piccolo borgo di Paisco, superato il quale, la musica comincia a cambiare: la strada si restringe ed attraversa un bosco fitto che regala frescura, ma la fatica aumenta perchè, come al solito, quando la carreggiata si fa più stretta significa anche che si impenna... Poche centinaia di metri fuori da Paisco una strana costruzione colpisce la mia attenzione: da lontano sembra una chiesa, con il rosone e le decorazioni sulla facciata ma, avvicinandomi si rivela chiaramente essere un'abitazione civile, con tanto di lenzuola stese alle finestre per prendere aria. All'esterno c'è un gruppo di ragazzi che confabula, da cui se ne stacca uno che, al mio passaggio, mi incita con la solita palese bugia: "Dai che manca poco!". Purtroppo, però, la mappa sul telefono indica chiaramente che al passo mancano ancora 12 km e, soprattutto, 900 metri di dislivello...
Mentre attraverso il bosco valuto tra me le varie possibilità su come sviluppare il giro di oggi, una volta arrivati al Vivione. La prima ipotesi, quella originaria, prevede il superamento del passo e la discesa per circa 3 km verso Schilpario fino al rifugio Cimon della Bagozza, dove dovrei imboccare una sterrata che in meno di 3 km porta al passo dei Campelli, quasi 400 metri più in alto. Da lì, proseguendo sulla stessa sterrata si raggiunge in una ripida discesa Ono San Pietro, da dove, sulla statale si ritornerebbe alla macchina. Il mio dubbio però riguarda la sterrata: non la conosco e non ho trovato in rete nessuna traccia che la percorre: non vorrei trovarmi a metà della discesa senza essere in grado di proseguire a causa di un percorso troppo tecnico per le mie capacità e senza poter neppure tornare indietro a causa della stanchezza... L'alternativa è tornare dalla stessa strada fatta in salita ma, dopo tanto asfalto, vorrei mettere un po' di sterrato sotto le ruote della mia MTB.
Mentre sono assorto in questi ragionamenti, volto lo sguardo verso monte e noto una strana presenza: una faccia intagliata nel legno mi sta osservando dall'alto. E, man mano che proseguo, altre sculture lignee appaiono ai bordi della strada: scoiattoli, uccelli, gnomi... Sembra di essere in un bosco incantato e il traffico praticamente assente amplifica questa sensazione
Nel frattempo abbiamo lasciato la provincia di Brescia e siamo entrati in quella bergamasca, attraversando il ponte sul torrente Allione da cui si può ammirare una spettacolare cascata.
La strada continua a salire e la fatica comincia a farsi sentire anche perchè la temperatura sta velocemente aumentando di pari passo con il diradarsi della vegetazione mano a mano che si sale di quota. Un ciclista mi supera con la sua bici da corsa e mi chiede se so quanto manca alla fine. Quando gli rispondo che mancano ancora 400 metri di dislivello le sue imprecazioni, anche se mormorate sotto voce, mi giungono forti e chiare...
Anche se le pendenze non sono mai impossibili, una salita di 20 km e di quasi 1400 metri di dislivello è impegnativa, mentalmente oltre che fisicamente: gli ultimi chilometri sembrano non passare mai. Il panorama però è appagante: le Alpi Orobie della Val di Scalve vengono dette Piccole Dolomiti, a causa della composizione della roccia molto simile a quella delle più famose montagne del mondo. Anche lo scenario naturale ricorda molto le località ben più note e rinomate del Trentino Alto Adige e del Veneto. Quando finalmente arrivo in vetta il grande altopiano verde circondato dalla Concarena e dalla Presolana mi fa tornare in mente lo spettacolo meraviglioso dell'Alpe di Siusi in Val Gardena. Queste zone però sono poco frequentate e il rifugio è affollato solo da ciclisti e motociclisti perchè la strada stretta che porta al passo scoraggia il traffico automobilistico. E per noi amanti delle due ruote è sicuramente meglio così...
Dopo le foto di rito bisogna decidere se arrischiarsi a completare l'anello affrontando il rischio dello sterrato oppure se girare la bici e tornare verso Forno Allione. Decido di proseguire e andare almeno a vedere com'è questo sterrato, mantenendo l'opzione di tornare indietro rifacendo i 200 metri di dislivello dal rifugio Cimon della Bagozza al Passo del Vivione nel caso la difficoltà sia esagerata. Quando arrivo al bivio mi stupisco nel vedere che quello che doveva essere uno sterrato è in realtà una cementata ripidissima: meglio così, le pendenze non mi hanno mai spaventato, quindi decido di proseguire. Dopo poche centinaia di metri però il cemento lascia spazio ad uno sterrato molto sconnesso su cui si fatica a restare in equilibrio anche perchè le pendenze continuano ed essere molto importanti. La preoccupazione per la successiva discesa svanisce quando incrocio delle e-bike: se loro sono riusciti a salire io riuscirò a scendere...
Mentre arranco in salita supero alcuni escursionisti a piedi che si complimentano con me quando si accorgono che la mia bici è sprovvista di motore... Finalmente arrivo al passo dei Campelli e trovo un angolino all'ombra per mandare giù almeno una barretta: avevo in programma di fermarmi al rifugio a mangiare qualcosa prima di affrontare la salita sterrata ma ho dimenticato la mascherina e non mi va di entrare in luoghi affollati senza le obbligatorie precauzioni. Poco male: adesso è solo discesa e mangiare non è indispensabile. Mai previsione fu più sbagliata...
La discesa si rivela subito ostica: la strada è larga e senza rischi ma il fondo, un acciottolato scassatissimo che mette a dura prova le braccia, consente una velocità solo di poco superiore a quella che riuscivo a tenere in salita. Trovo una fontanella per riempire la borraccia perchè l'acqua che ho nella sacca idrica è ormai diventata calda e mi fermo un attimo a riposare le braccia indolenzite davanti a una santella che invita il viandante a lasciare una preghiera. La discesa pur restando ripidissima dal primo all'ultimo metro, fortunatamente verso la fine diventa asfaltata cosicchè la fatica si riduce notevolmente e la velocità aumenta. Quando arrivo a Ono San Pietro da una parte sono super orgoglioso per aver portato a termine il giro che mi ero riproposto, dall'altra però mi rendo conto che mancano più di 10 km alla macchina e che il serbatoio delle energie è ampiamente in riserva. All'inizio cerco di evitare la statale e resto sulla ciclovia dell'Oglio che ha il grande pregio di scorrere su strade alternative, poco trafficate e spesso ombreggiate, ma anche il terribile difetto che, le suddette strade, affrontano sovente brevi ma durissimi strappi che mi tagliano definitivamente la gambe. Dopo un po' decido di abbandonare la ciclovia e mi rassegno al traffico e al caldo infernale della statale tutta al sole: purtroppo, anche se non sembra, la strada è in leggera salita e io non ce la faccio veramente più. Mi maledico per non aver pensato di parcheggiare alla fine della discesa ma ormai il danno è fatto e devo solo riuscire a portare la bici al traguardo, rappresentato dalla macchina. Ogni microscopico ritaglio di ombra mi fermo, bevo e mando giù a forza l'ultima barretta perchè ho lo stomaco chiuso. Quando finalmente arrivo alla macchina mi coglie uno strano brivido freddo, nonostante ci siano 35 gradi: mi accorgo di non stare troppo bene ma, ormai, ce l'ho fatta e la missione è compiuta. Il mio corpo però mi fa notare che forse ho chiesto troppo a me stesso e, dopo qualche conato, vomito il poco che ho nello stomaco.
La conclusione infelice, comunque, non rovina il bellissimo giro di oggi e i paesaggi della Val di Scalve mi restano negli occhi e nel cuore. La prossima volta, però, dovrò valutare meglio dove parcheggiare...
Comunque, parcheggiata la macchina ai piedi della salita (e questo si rivelerà un tremendo errore), alle 8,30 sono già in sella e imbocco la strada statale della Val di Scalve. Il cartello che indica 20 km al passo non è il massimo dell'incoraggiamento ma, come sempre, la calma dei giusti è la mia fedele compagna di viaggio; l'unica oggi, perchè Manuele ha dovuto dare forfait. La carreggiata, in questo primo tratto, è ampia e le pendenze sono l'ideale per scaldare la gamba. Dopo circa 7 km si arriva al piccolo borgo di Paisco, superato il quale, la musica comincia a cambiare: la strada si restringe ed attraversa un bosco fitto che regala frescura, ma la fatica aumenta perchè, come al solito, quando la carreggiata si fa più stretta significa anche che si impenna... Poche centinaia di metri fuori da Paisco una strana costruzione colpisce la mia attenzione: da lontano sembra una chiesa, con il rosone e le decorazioni sulla facciata ma, avvicinandomi si rivela chiaramente essere un'abitazione civile, con tanto di lenzuola stese alle finestre per prendere aria. All'esterno c'è un gruppo di ragazzi che confabula, da cui se ne stacca uno che, al mio passaggio, mi incita con la solita palese bugia: "Dai che manca poco!". Purtroppo, però, la mappa sul telefono indica chiaramente che al passo mancano ancora 12 km e, soprattutto, 900 metri di dislivello...
Mentre attraverso il bosco valuto tra me le varie possibilità su come sviluppare il giro di oggi, una volta arrivati al Vivione. La prima ipotesi, quella originaria, prevede il superamento del passo e la discesa per circa 3 km verso Schilpario fino al rifugio Cimon della Bagozza, dove dovrei imboccare una sterrata che in meno di 3 km porta al passo dei Campelli, quasi 400 metri più in alto. Da lì, proseguendo sulla stessa sterrata si raggiunge in una ripida discesa Ono San Pietro, da dove, sulla statale si ritornerebbe alla macchina. Il mio dubbio però riguarda la sterrata: non la conosco e non ho trovato in rete nessuna traccia che la percorre: non vorrei trovarmi a metà della discesa senza essere in grado di proseguire a causa di un percorso troppo tecnico per le mie capacità e senza poter neppure tornare indietro a causa della stanchezza... L'alternativa è tornare dalla stessa strada fatta in salita ma, dopo tanto asfalto, vorrei mettere un po' di sterrato sotto le ruote della mia MTB.
Mentre sono assorto in questi ragionamenti, volto lo sguardo verso monte e noto una strana presenza: una faccia intagliata nel legno mi sta osservando dall'alto. E, man mano che proseguo, altre sculture lignee appaiono ai bordi della strada: scoiattoli, uccelli, gnomi... Sembra di essere in un bosco incantato e il traffico praticamente assente amplifica questa sensazione
Nel frattempo abbiamo lasciato la provincia di Brescia e siamo entrati in quella bergamasca, attraversando il ponte sul torrente Allione da cui si può ammirare una spettacolare cascata.
La strada continua a salire e la fatica comincia a farsi sentire anche perchè la temperatura sta velocemente aumentando di pari passo con il diradarsi della vegetazione mano a mano che si sale di quota. Un ciclista mi supera con la sua bici da corsa e mi chiede se so quanto manca alla fine. Quando gli rispondo che mancano ancora 400 metri di dislivello le sue imprecazioni, anche se mormorate sotto voce, mi giungono forti e chiare...
Anche se le pendenze non sono mai impossibili, una salita di 20 km e di quasi 1400 metri di dislivello è impegnativa, mentalmente oltre che fisicamente: gli ultimi chilometri sembrano non passare mai. Il panorama però è appagante: le Alpi Orobie della Val di Scalve vengono dette Piccole Dolomiti, a causa della composizione della roccia molto simile a quella delle più famose montagne del mondo. Anche lo scenario naturale ricorda molto le località ben più note e rinomate del Trentino Alto Adige e del Veneto. Quando finalmente arrivo in vetta il grande altopiano verde circondato dalla Concarena e dalla Presolana mi fa tornare in mente lo spettacolo meraviglioso dell'Alpe di Siusi in Val Gardena. Queste zone però sono poco frequentate e il rifugio è affollato solo da ciclisti e motociclisti perchè la strada stretta che porta al passo scoraggia il traffico automobilistico. E per noi amanti delle due ruote è sicuramente meglio così...
Dopo le foto di rito bisogna decidere se arrischiarsi a completare l'anello affrontando il rischio dello sterrato oppure se girare la bici e tornare verso Forno Allione. Decido di proseguire e andare almeno a vedere com'è questo sterrato, mantenendo l'opzione di tornare indietro rifacendo i 200 metri di dislivello dal rifugio Cimon della Bagozza al Passo del Vivione nel caso la difficoltà sia esagerata. Quando arrivo al bivio mi stupisco nel vedere che quello che doveva essere uno sterrato è in realtà una cementata ripidissima: meglio così, le pendenze non mi hanno mai spaventato, quindi decido di proseguire. Dopo poche centinaia di metri però il cemento lascia spazio ad uno sterrato molto sconnesso su cui si fatica a restare in equilibrio anche perchè le pendenze continuano ed essere molto importanti. La preoccupazione per la successiva discesa svanisce quando incrocio delle e-bike: se loro sono riusciti a salire io riuscirò a scendere...
Mentre arranco in salita supero alcuni escursionisti a piedi che si complimentano con me quando si accorgono che la mia bici è sprovvista di motore... Finalmente arrivo al passo dei Campelli e trovo un angolino all'ombra per mandare giù almeno una barretta: avevo in programma di fermarmi al rifugio a mangiare qualcosa prima di affrontare la salita sterrata ma ho dimenticato la mascherina e non mi va di entrare in luoghi affollati senza le obbligatorie precauzioni. Poco male: adesso è solo discesa e mangiare non è indispensabile. Mai previsione fu più sbagliata...
La discesa si rivela subito ostica: la strada è larga e senza rischi ma il fondo, un acciottolato scassatissimo che mette a dura prova le braccia, consente una velocità solo di poco superiore a quella che riuscivo a tenere in salita. Trovo una fontanella per riempire la borraccia perchè l'acqua che ho nella sacca idrica è ormai diventata calda e mi fermo un attimo a riposare le braccia indolenzite davanti a una santella che invita il viandante a lasciare una preghiera. La discesa pur restando ripidissima dal primo all'ultimo metro, fortunatamente verso la fine diventa asfaltata cosicchè la fatica si riduce notevolmente e la velocità aumenta. Quando arrivo a Ono San Pietro da una parte sono super orgoglioso per aver portato a termine il giro che mi ero riproposto, dall'altra però mi rendo conto che mancano più di 10 km alla macchina e che il serbatoio delle energie è ampiamente in riserva. All'inizio cerco di evitare la statale e resto sulla ciclovia dell'Oglio che ha il grande pregio di scorrere su strade alternative, poco trafficate e spesso ombreggiate, ma anche il terribile difetto che, le suddette strade, affrontano sovente brevi ma durissimi strappi che mi tagliano definitivamente la gambe. Dopo un po' decido di abbandonare la ciclovia e mi rassegno al traffico e al caldo infernale della statale tutta al sole: purtroppo, anche se non sembra, la strada è in leggera salita e io non ce la faccio veramente più. Mi maledico per non aver pensato di parcheggiare alla fine della discesa ma ormai il danno è fatto e devo solo riuscire a portare la bici al traguardo, rappresentato dalla macchina. Ogni microscopico ritaglio di ombra mi fermo, bevo e mando giù a forza l'ultima barretta perchè ho lo stomaco chiuso. Quando finalmente arrivo alla macchina mi coglie uno strano brivido freddo, nonostante ci siano 35 gradi: mi accorgo di non stare troppo bene ma, ormai, ce l'ho fatta e la missione è compiuta. Il mio corpo però mi fa notare che forse ho chiesto troppo a me stesso e, dopo qualche conato, vomito il poco che ho nello stomaco.
La conclusione infelice, comunque, non rovina il bellissimo giro di oggi e i paesaggi della Val di Scalve mi restano negli occhi e nel cuore. La prossima volta, però, dovrò valutare meglio dove parcheggiare...
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