Il passo Gavia


A inizio settimana mi imbatto in un articolo di giornale che informa che domenica 26 luglio la strada che porta al passo Gavia sarà chiusa al traffico veicolare Quale migliore occasione per cimentarsi nella scalata di un altro mostro sacro del ciclismo?
Subito informo Manuele che accetta di buon grado e anche suo padre Vincenzo, noleggiando la solita ebike, sarà della partita.
Trascorriamo tutta la settimana a consultare febbrilmente i più svariati siti di meteo perchè la situazione sembra incerta e, dovendo salire oltre i 2600 metri, non possiamo affrontare l'impresa con condizioni climatiche avverse. Fortunatamente il tempo volge al bello, quindi ci diamo appuntamento per le 9 in punto a Ponte di Legno.
Durante le due ore in macchina per raggiungere l'Alta Valle Camonica, il pensiero va a tutte le leggende che riguardano il Gavia, una vetta ciclisticamente quasi sinistra che, al solo nominarla incute timore negli appassionati delle due ruote a pedali. La tappa del 1988 e il dramma vero che i girini hanno dovuto affrontare salendo in mezzo a un'autentica bufera di neve ma, ancor più scendendo semiassiderati verso Bormio su una strada completamente ghiacciata, senza la minima sensibilità nelle mani e con lo strapiombo sempre accanto alla strada senza protezioni. Saligari che mangia una banana con la buccia perchè non era in grado di sbucciarla è la testimonianza più chiara delle condizioni in cui hanno dovuto correre i ciclisti quel giorno. Ma il Gavia è anche il mito dell'eroe sfortunato Imerio Massignan, l'Angelo del Gavia, che nel 1960, dopo aver scollinato per primo sul passo, in discesa forò per ben quattro volte ma la moto che doveva assisterlo ebbe noie meccaniche (alcuni dicono che fu addirittura sabotata...) e la vittoria andò al francese Charlie Gaul.
La mia più grande preoccupazione di giornata, però, non sono i metri di dislivello da scalare ma la famosa galleria da affrontare a 3 chilometri dalla vetta: leggendo il bellissimo "Ma chi te lo fa fare? Sogni e avventure di un ciclista sempre in salita" di Giacomo Pellizzari mi ha molto impressionato il racconto che l'autore fa del passaggio attraverso quel budello buio e freddo, che sembra la porta che conduce in un altro mondo, brullo ed inospitale ma estremamente affascinante.
Finalmente, dopo aver messo da parte questi pensieri inquietanti, arrivo a Ponte di Legno e con Vincenzo e Manuele ci avviamo, con l'immancabile calma dei giusti, sulla strada provinciale del Gavia all'attacco dei 17 km che ci devono portare ai 2652 metri del Rifugio Bonetta. Nella prima parte, usciti da Ponte di Legno, la strada è larga e pedalabile e, anche se questo primo tratto è aperto al traffico, il passaggio di qualche automobile non crea grossi problemi alla moltitudine di ciclisti che si accingono ad intraprendere la nostra stessa impresa. I primi sette chilometri, fino a Sant'Apollonia dove un posto di blocco impedisce ad auto e moto di proseguire, scorrono accanto al torrente Frigidolfo che a Ponte di Legno, unendosi al Narcanello, darà vita al fiume Oglio, che attraversa tutta la Valle Camonica: il clima è gioviale e la salita non è per niente impegnativa; quando arriviamo a  Sant'Apollonia, però, tutto cambia repentinamente: la sede stradale si restringe e, soprattutto, la pendenza va in doppia cifra. Le prime rampe sono durissime e subito si nota la differenza tra i ciclisti che hanno velleità di tempo e chi, come noi, vuole salire godendosi l'esperienza. Siamo nel bosco e la temperatura è gradevolissima e, dopo il primo tratto duro, nonostante la strada tortuosa e i tornanti strettissimi, le pendenze tornano accettabili e ci si può guardare intorno ammirando il panorama delle Alpi. Non sono solo le bellezze naturali a catturare la mia attenzione, ma anche le vecchie scritte sui muretti a bordo strada, testimonianze dei passaggi del Giro d'Italia; oltre a quelle immancabili per il Pirata Marco Pantani una mi fa quasi commuovere: recita "Vai Visentini", il primo ciclista per cui ho tifato. Da bresciano esultai vedendo un mio conterraneo trionfare nel Giro dell'86 ma, soprattutto, da bambino soffrii tantissimo vedendolo vittima del clamoroso tradimento di Sappada quando, in maglia rosa, subì l'attacco fratricida del compagno di squadra Stephen Roche che gli soffiò la maglia e il Giro; un affronto mai visto nella storia del ciclismo e che, in pratica, stroncò la carriera del ciclista di Gardone Riviera.
Mentre mi perdo in questi lontani ricordi ciclistici, non mi accorgo che la vegetazione pian piano si dirada e che abbiamo superato i 2000 metri di quota. Il passo è ancora lontano però il panorama adesso è quello tipico dell'alta montagna: pietraie, cascate, vette innevate che adesso paiono molto più vicine rispetto all'inizio dell'ascesa. Raggiungiamo l'imbocco della temuta galleria e ci fermiamo, sia per mangiare una barretta che per organizzarci per affrontare il buio. Decidiamo che io andrò avanti con la torcia, Vincenzo starà in mezzo e Manuele chiuderà il gruppetto avendo la luce posteriore sul casco. All'ingresso della galleria c'è una targa che ricorda gli alpini morti nel 1954 il cui camion è caduto nel vuoto e i pensieri si fanno subito tetri. Alla fine prendiamo il coraggio a due mani e ci gettiamo nelle fauci del tunnel. Subito mi rendo conto che Pellizzari non esagerava: il buio è effettivamente assoluto anche perchè, prima dell'uscita c'è una curva che impedisce di vedere la proverbiale luce in fondo al tunnel e la mia piccola torcia serve a ben poco. E' difficile non farsi prendere dal panico perchè la sensazione è angosciante: non si sa dove si è, nè quanto manca alla fine e, come se non bastasse, la salita è dura e c'è da pedalare per uscire il più in fretta possibile da quell'incubo. Alle nostre spalle, un tonfo, seguito da una serie di improperi, ci fa capire che qualcuno è caduto e, se possibile, mi agito ancor di più. Finalmente arriviamo all'agognata curva e i nostri occhi ritrovano la luce e possiamo ammirare il paesaggio che si è fatto ancor più lunare rispetto a quello che abbiamo lasciato dall'altro lato della galleria: le enormi pietraie e la completa assenza di vegetazione sembrano appartenere ad altitudini ben più alte dei 2300 metri a cui ci troviamo. Adesso la strada torna decisamente a salire ma, avendo superato l'ostacolo psicologico del tunnel, ci si può concentrare solo sui pedali. Dopo l'ennesimo tornante compare sulla sinistra un lago dalle acque che all'ombra delle rocce paiono cupe e, infatti, è detto Lago Nero. Ormai è quasi fatta e i ciclisti che stanno scendendo ci incoraggiano a tenere duro per gli ultimi sforzi. Finalmente vediamo la sagoma del rifugio Bonetta e la moltitudine di ciclisti che si accalca intorno al cartello del passo per scattare l'immancabile foto ricordo. La temperatura, ai 2652 metri del passo, si è notevolmente abbassata complice un vento teso e freddo, ma la soddisfazione per aver domato un altro mostro sacro dell'immaginario collettivo ciclistico ci scalda il cuore. Il più contento è Vincenzo che, alla sua età non avrebbe mai immaginato di poter arrivare fin qui in bicicletta ma, grazie all'invenzione dell'ebike ha potuto realizzare un sogno.  Scattate le foto di rito scavalliamo e raggiungiamo il lago Bianco, appena oltre il passo, le cui acque, libere dall'ombra delle montagne che incombono, risultano invece particolarmente chiare.
Il giro ad anello per tornare a Ponte di Legno dalla cima del Gavia è troppo duro per la nostra preparazione quindi optiamo per rifare la stessa strada in discesa, però Vincenzo propone di svoltare, prima di arrivare a valle, verso Case di Viso, un caratteristico borgo medievale meritevole di essere visitato. Manuele,abbastanza provato, non è entusiasta di aggiungere altra salita, però iniziamo a scendere rimandando la decisione sulla deviazione. In discesa ho montato sul manubrio la telecamera Gopro, quindi mi do da fare per superare chi procede lentamente e mi impalla l'inquadratura. Mi sembra di scendere a folle velocità quando mi sorpassa un autentico missile, che prende rischi assurdi e pennella le curve quasi fosse Nibali. Per un po' provo a restargli a ruota ma poi devo desistere: non ho nè le doti e nè il coraggio per scendere in quel modo...
Ma l'oscar dell'audacia va indubbiamente a una mamma che scende con due seggiolini, uno anteriore e uno posteriore, in cui sono sistemati due bambini...
Quando arrivo in prossimità del bivio per Case di Viso rallento e mi appresto a svoltare ma Manuele mi affianca e mi intima di proseguire senza fare scherzi... Giunti a Ponte di Legno ci fermiamo a mangiare un panino assaporando, oltre ai formaggi e salumi locali, anche il dolce gusto della soddisfazione per l'impresa compiuta e già programmando la prossima.






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