Punta Veleno: la salita più dura d'Italia

 Mi imbatto per caso su internet in una pagina che descrive una salita dal nome curioso, Punta Veleno, che, in base alle pendenze medie, viene definita addirittura la salita asfaltata più dura d'Italia, più terribile di scalate mitiche come Mortirolo e Zoncolan. Naturalmente, da buon ciclista masochista, voglio sperimentare questa sofferenza e per il primo sabato di settembre organizzo l'uscita. 

Trovo una traccia per bici da corsa, ma, anche se esco in mtb non faccio troppo lo schizzinoso: se poi avrò ancora energie potrò allungare il giro e raggiungere uno dei rifugi sul Baldo per fare un po' di sterrato. Alle 8,15 parto da Costermano, dove ho lasciato la macchina e dopo un breve tratto in discesa discesa raggiungo la Gardesana, poco dopo il centro di Garda, che dovrò risalire in direzione di Malcesine per circa venti chilometri. Nonostante le bellezze del lago da ammirare e il traffico scarso, un fastidioso vento contrario rende faticoso questo tratto. Ecco quindi che, quando uno stradista mi supera, non perdo l'occasione e mi incollo alla sua ruota in modo da poter viaggiare oltre i 30 km/h (velocità ragguardevole in pianura per una mtb) senza far fatica. Con la coda dell'occhio mi accorgo che non sono l'unico succhiaruote: dietro di me c'è una bici gravel che ha avuto la mia stessa idea. Dopo una decina di km il nostro gregario ci abbandona e, dopo averlo ringraziato, con il mio compagno di avventura ci organizziamo per dividerci lo sforzo. Arrivati a Brenzone, si avvicina il momento in cui devo tagliare a destra per Punta Veleno e il mio nuovo amico insiste per offrirmi un caffè, prima di intraprendere la scalata. Seduti al tavolino di un bar mi racconta che l'ha già fatta diverse volte ed è effettivamente durissima: è detta Punta Veleno perchè Torriani, lo storico Direttore del Giro d'Italia degli anni 70 e 80, dopo averla visionata, l'aveva definita troppo "velenosa" per farci transitare la corsa rosa. 

Dopo avermi offerto il caffè, Ferdinando - questo è il nome dell'amico con la gravel -  mi accompagna all'imbocco della salita, mi fa gli auguri e prosegue sulla statale. Il primo chilometro, fino a Castello è quasi in falso piano e mi chiedo se l'aura di leggenda che circonda Punta Veleno non sia un po' esagerata. Quando però arrivo al bivio successivo, basta uno sguardo per capire che non c'è nulla di inventato: mi si presenta davanti agli occhi un'autentica rampa di garage e il cartello che indica 7 km all'arrivo con pendenza media al 13% non è troppo incoraggiante. I venti tornanti, numerati in ordine decrescente salendo, sono l'unica ancora di salvezza per poter tirare il fiato qualche secondo perchè sul dritto la strada si arrampica quasi verticalmente. 

Rispetto al Mortirolo che si affronta tutto nel bosco, il panorama sul lago sottostante aiuta a distogliere la mente, per quanto possibile, dalla fatica della strada. Con la mia mtb, usando il rapporto più agile, riesco in qualche modo ad avanzare, spesso servendomi del vecchio trucco di procedere a zig zag per diminuire la pendenza, ma come si possa affrontare un'ascesa così con i rapporti della bici da corsa per me resta un mistero. Eppure due eroi li incontro e mi superano a doppia velocità: con il volto trasfigurato dalla fatica, però, non hanno nemmeno la forza di rispondere al mio saluto. 

I cartelli che ad ogni km scandiscono la salita e indicano la distanza dalla vetta, l'altitudine raggiunta e e, soprattutto, la pendenza media, sono una mazzata al morale: leggere 15% o 16% con le energie già al lumicino, non aiuta... Al di là delle mie sensazioni, la salita è oggettivamente durissima: le pendenze sono sempre proibitive, toccando anche il 20% e, tornanti a parte, nel tratto centrale non esiste un metro in cui poter rifiatare. Anche il fondo stradale è molto rovinato, ulteriore difficoltà per chi si azzarda ad affrontare quest'impresa con la bici da corsa. C'è però anche un aspetto positivo: il traffico è quasi nullo e, comunque, unicamente in direzione della salita: incontro solo una moto in direzione contraria. A metà del tratto più duro, invece, un'altra moto mi si affianca e dal guidatore mi arriva un incitamento a non mollare: questi piccoli gesti mi fanno sempre un enorme piacere e mi ricordano come l'impresa che sto affrontando non è comunque da tutti, al di là di quanto tempo ci metterò per arrivare in vetta. 

Attorno al quinto tornante, per qualche decina di metri le pendenze si attenuano e, avendo letto che la parte finale della salita era quasi pianeggiante, mi convinco che la sofferenza sia finita: dopo pochissimi metri, però, questa terribile erta mi ricorda perentoriamente che non ha ancora finito di sputare il veleno da cui deriva il suo nome. Bisogna soffrire fino all'ultimo tornante e poi davvero la strada quasi spiana e nell'ultimo tratto ci si può gustare l'impresa appena compiuta ammirando anche degli splendidi scorci del Benaco che compare tra le rocce. 

Per quanto mi riguarda la soddisfazione è doppia perchè non solo sono riuscito ad arrivare in vetta, ma, al contrario di quanto mi era successo sul Mortirolo, l'ho fatto senza mettere piede a terra. Se devo dire se sia più dura l'una o l'altra salita non saprei: sulla montagna sacra a Marco Pantani ho sicuramente fatto più fatica, però c'è da dire che avevo nelle gambe già l'Aprica. Punta Veleno è effettivamente tutta durissima, senza nessuna pausa, però è più breve del Mortirolo. Per entrambe però ci sono sicuramente due analogie: il "chi me l'ha fatto fare?" durante la salita e l'enorme soddisfazione quando si riesce a portare la bici in vetta. Ecco, la vetta di Punta Veleno è piuttosto anonima, non ci si accorge di essere arrivati in cima se non per l'inizio della discesa: non ci sono cartelli, o almeno io non li ho notati, cosa probabilissima vista la quantità di acido lattico che avevo in corpo.

Dopo aver superato i 1156 metri di Punta Veleno la strada si allarga e si prosegue per circa 5 km su una comoda discesa fino ad arrivare a quota 900 metri dove inizia la salita che raggiunge i 1295 di Cima Mandra; lì finisce l'asfalto e, volendo, si potrebbe proseguire fino ai 1800 dei rifugi. Ma dopo i primi metri di salita mi rendo subito conto che già arrivare a Cima Mandra sarà terribilmente difficile: non perchè la salita sia particolarmente dura - sono 4 km a circa il 9% medio - ma perchè lo sforzo fatto per scalare Punta Veleno adesso mi presenta il conto e i segnali che mi arrivano dal fisico mi intimano di non esagerare.

Dopo numerose pause riesco ad arrivare a destinazione e, anche se la cementata che si inerpica verso il monte Baldo sembra sussurrarmi  di non ascoltare la fatica e di proseguire, preferisco accontentarmi e girare la bici verso valle. Per placare la coscienza da ciclista che mi chiede di continuare a salire, mi fermo in una malga a gustare un'ottima pasta condita con formaggio e salumi, accompagnandola con un paio di birre e ammirando il Pizzocolo che svetta dall'altra parte del lago. Dopo la pausa è ora di rientrare affrontando la lunga e noiosa discesa che mi porta alla macchina con nello zaino la grande soddisfazione di aver scalato la salita più dura d'Italia.






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